Come Solfeggiare Uno Spartito Per Pianoforte

Introduzione

Come abbiamo visto in alcuni articoli precedenti, nel processo di lettura di uno spartito al pianoforte i nomi di nota che compongono la Scala Fondamentale si associano solitamente al doppio pentagramma attraverso dei precisi segni che vengono definiti segni ritmici. Lo avevamo già osservato in un esempio che ti riporto di seguito come promemoria:

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La Nota: Un Elemento Complesso

Per questo motivo noi di Metodo di Lettura Pianistica dobbiamo necessariamente considerare quella che comunemente viene chiamata nota non come un elemento semplice dello studio che devi affrontare soltanto a intuito, ma come un preciso insieme di tre componenti: 

  • Una figurazione ritmica, per esempio
  • Una precisa posizione sul pentagramma, quindi la precisa associazione con un nome (che eventualmente presenterà un attributo, di cui tratteremo in articoli successivi;
  • Una precisa altezza sonora, ossia un suono.

I Limiti Della Trattatistica Di Tendenza

Molti dei più riconosciuti manuali d’introduzione alla teoria musicale non attuano una distinzione tra i costituenti di ciò che viene chiamato nota, ma iniziano a trattare direttamente delle note stesse e della loro componente sonora o ritmica. Nel Metodo di Lettura Pianistica invece distinguiamo gradualmente i singoli aspetti che definiscono ciò che comunemente viene chiamato nota, così che tu possa assicurarti di star prestando la stessa attenzione a ognuno di essi. Ti riporto qui di seguito uno spezzone tratto da un articolo precedente, che ti farà subito capire l’importanza pedagogica di questa operazione.

Molti bambini che iniziano a studiare il pianoforte lo abbandonano avanzando con l’età: in alcuni casi, il motivo è che le difficoltà di lettura di uno spartito sono state ingigantite dalla tanta, troppa spontaneità con la quale sono stati abituati ad approcciare lo strumento. Questo vale anche per noi che non abbiamo iniziato da bambini: desideriamo ardentemente imparare a leggere la Musica, ma siamo spesso introdotti a quest’arte da qualcuno che non sa fare altro che metterci direttamente davanti a quattro note come se si trattasse soltanto di un banale esercizio di ripetizione. Ma pensiamoci bene: anche se le note sono soltanto quattro, esse sono composte almeno da nomi e suoni. Con una semplice moltiplicazione, ci troviamo ora davanti a otto elementi differenti! Ed è bene anticipare che il numero aumenterebbe vorticosamente se sapessimo conteggiare tutti quei componenti della lettura di uno spartito che non siamo ancora stati addestrati a riconoscere. Per capire quanto ciò sia controproducente, immaginiamo per un momento un grande calciatore, un attaccante dal controllo di palla leggendario, con potenza fisica e velocità nella corsa impareggiabili, capace di dribblare gli avversari nei modi più geniali: si tratta certamente di un fenomeno, diremmo… Ma non faremmo lo stesso se scoprissimo che questo calciatore non sa dove sia la porta. Con questa ultima precisazione, se prima nella nostra mente scorrevano le immagini dei più grandi calciatori della storia, ora stiamo probabilmente pensando: che spreco, gli basterebbe così poco per essere un atleta indimenticabile! Noi infatti non vorremmo mai essere come questo calciatore che della totalità delle caratteristiche che gli servono per essere un campione ne trascura una sola, proprio quella che trascina con sé tutto il resto. Eppure nella maggior parte dei casi non riusciamo a leggere  le note scorrevolmente proprio per questa ragione e non perché, come alcuni pessimi didatti vogliono farci credere, non abbiamo iniziato da bambini o ci manca il talento. 

Come Leggere La Musica Velocemente » Matteo Malafronte

Come Solfeggiare?

In questo articolo vorrei farti comprendere, rispettando i fini del Metodo di Lettura Pianistica, l’enorme importanza di questa materia, così da introdurti alla trattazione degli articoli successivi, che daranno il ritmo come questione assodata (almeno nei suoi caratteri essenziali). Ti indicherò precisamente solo alcuni importanti sentieri per intraprendere il percorso sul significato ritmico, ma non formulerò né considerazioni complete sulla Teoria Musicale né sul Solfeggio, anche perché esistono già molti manuali che trattano in modo esaustivo di queste materie.

I Segni Ritmici

Per scrivere le indicazioni ritmiche usiamo dei segni chiamati segni ritmici, distinti in due categorie: le figure ritmiche e le pause ritmiche. A queste due categorie si posso accompagnare dei segni di prolungamento ritmico, come il punto di valore o la legatura di valore, di cui parleremo in seguito.

Le figure ritmiche più usate nella nostra musica sono le sette seguenti: 

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Nella pratica del solfeggio parlato, esse indicano la durata della pronuncia del nome di nota alla quale sono associate; nella pratica pianistica, indicano la durata del suono associato al loro nome. In ogni caso, scritte come nell’esempio qui in alto non sono associate a nulla dato che al pentagramma manca la chiave. Quest’ultima è l’unico riferimento per i nomi della Scala Fondamentale e anche per la precisa altezza dei suoni, poiché a partire dalla chiave possiamo far corrispondere le righe e gli spazi del pentagramma ai tasti del pianoforte. Nell’esempio a seguire, le figure ritmiche sono state scritte tutte sul primo spazio del pentagramma. Tuttavia, può accadere di trovarle scritte su qualsiasi posizione (riga o spazio) del medesimo, dal momento che indicano, oltre al ritmo, anche il nome di nota che di volta in volta si associa alla loro posizione. 

In molti casi, quando in uno spartito le figure ritmiche provviste di un gambo – quella linea verticale che parte dalla loro testa e termina talvolta con una o più code – vengono scritte al di sopra della riga centrale del pentagramma, hanno il gambo rivolto in giù; viceversa, se vengono scritte al di sotto della riga centrale del pentagramma, lo hanno rivolto in su. Le trattiamo in quest’ordine per rispettare gli scopi del presente articolo, ossia quelli di effettuare una trattazione graduale: all’inizio degli studi, avrai maggiori occasioni di incontrare le figure ritmiche dai valori più grandi, ossia le prime nell’esempio. Queste figure hanno un valore assoluto, e non – come a volte si dice – “relativo”. Non valgono “un tot di secondi” o “un tot di minuti”, ma conservano indipendentemente dal contesto in cui si trovano un valore matematico ben preciso: rispettivamente, da sinistra a destra dell’immagine qui in alto, 4/4, 2/4, 1/4, 1/8, 1/16, 1/32, 1/64. Pertanto, la durata di queste figure non ha valore cronometrico assoluto, del tipo “la croma vale tre secondi”, ma soltanto musicale e matematico.

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Le Pause Ritmiche

Abbiamo detto detto che ognuna di queste figure vale la metà della figura ritmica che si trova alla sua sinistra. Lo stesso principio matematico vale per i segni ritmici che indicano la durata del silenzio, chiamati pause ritmiche:

A differenza delle sette figure ritmiche, le sette pause ritmiche sono più comunemente scritte in una posizione fissa del pentagramma – quella mostrata qui sopra – indipendentemente dalla chiave scritta sul medesimo, proprio perché non si riferiscono direttamente a un suono ma al silenzio. L’unico altro modo in cui è possibile trovare scritta una pausa ritmica in una posizione differente rispetto a quella mostrata è indicato nell’esempio successivo. In un paragrafo a seguire sui differenti tipi vocali, vedremo che – in un contesto particolare – la pausa ritmica può occupare una qualsiasi posizione del pentagramma, non solo quella mostrata nel prossimo esempio. Questo contesto è momentaneamente trascurabile: solo per completezza, se ne mostra anticipatamente uno dei possibili casi nell’immagine qui di seguito:

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Un’altra differenza tra le figure ritmiche e le pause ritmiche è che le prime hanno dei nomi propri, a partire da sinistra del loro schema (riportato più sopra): semibreve, minima, semiminima, croma, semicroma, biscroma, semibiscroma. Le pause ritmiche invece, dato che condividono il valore matematico delle figure ritmiche, prendono il nome in riferimento a queste ultime (per esempio: pausa di semibreve, pausa di minima eccetera.).

Le Misure

Tutti i segni ritmici mostrati finora fanno capo di volta in volta non soltanto a questo insieme generale che ne rappresenta i quattordici più usati, ma anche a insiemi più specifici, detti misure. Per esempio, sul pentagramma di una qualsiasi composizione potresti trovare subito dopo la chiave questo insieme di due numeri:

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Questa è la cosiddetta indicazione di misura e si legge “quattro quarti”. Ha valore, salvo indicazioni, lungo tutto il pentagramma che la contiene, motivo per cui è stata scritta sia sul pentagramma superiore che su quello inferiore. L’indicazione di misura serve a conoscere anticipatamente la struttura ritmica di ciò che la segue sullo spartito. Molto spesso nei primi esercizi per pianoforte tale indicazione non cambia lungo l’intero brano: capiamo quindi che è fondamentale saperla interpretare per avere a mente, prima ancora di iniziare a leggere ciò che la segue, una struttura ritmica da seguire. Nel caso dell’esempio, la misura sarà costituita da quattro figure ritmiche dal valore di un quarto ciascuna:

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In questo caso – come vedremo accade solo in casi specifici che saranno distinti tra breve – che le figure ritmiche della misura siano quattro lo dice il numero superiore, mentre che non possano valere più di 1/4 ciascuna lo dice il numero inferiore. 

Le Battute

Misura è sinonimo di un altro termine che potrebbe suonare familiare, ossia battuta: il primo termine si riferisce più spesso a considerazioni di natura teorica, mentre il secondo alla rappresentazione grafica della misura stessa sul pentagramma. Tale rappresentazione grafica corrisponde, nella maggior parte dei casi pianistici, a ciò che è scritto entro le due barre verticali che delimitano la battuta stessa. Le barre verticali che identificano le battute si chiamano stanghette. La prima stanghetta, che segna l’inizio della battuta, è quella che sullo spartito si trova prima delle chiavi, immediatamente accanto alla parentesi graffa che lega i due pentagrammi tra loro; la seconda, che segna la fine della battuta, è quella posta dopo le quattro figure ritmiche dal valore di un quarto ciascuna. Dopo una prima battuta se ne trovano generalmente molte altre, poiché il concetto di misura si ripete lungo il corso del brano. Il valore della misura potrebbe subire ulteriori variazioni, sempre indicate preventivamente da una nuova indicazione di misura che va a sostituire la precedente, a partire dal punto del brano dalla quale viene scritta.

Misure e Tempi: Sinonimi?

Il termine misura non è da confondere con il termine tempo, che rappresenta invece le unità nelle quali la misura stessa viene divisa. La misura è infatti composta da tempi. Una misura in 3/4 è composta da tre tempi poiché per definirla si deve contare con regolarità fino a tre. Ecco il caso in esempio:

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Contando con regolarità fino a tre, come indicato dal numero in alto nella indicazione di misura, avrai scandito il numero di tempi della misura, ossia tre

A seconda del numero dei tempi di cui una misura è costituita, questa può essere classificata come: 

  • Binaria, due tempi;
  • Ternaria, tre tempi
  • Quaternaria, quattro tempi.

Ci sarebbero altre classificazioni basate sul numero dei tempi, ma non è necessario trattarle per i fini di questo articolo, che sono quelli di introdurti alla lettura ritmica di uno spartito per pianoforte. Ognuno di questi tempi ha poi delle precise caratteristiche: nel caso dell’esempio, il primo tempo sarà più incisivo degli altri, il secondo più debole del primo, il terzo più debole di tutti. Ecco perché si distingue tra tempo e misura: i tempi stabiliscono il carattere vero e proprio della misura che li contiene. Per esempio, in uno spartito recante come indicazione di misura 4/4, il primo tempo è più forte degli altri, il secondo tempo è più debole del primo, il terzo tempo è più forte del secondo ma più debole del primo e il quarto tempo è il più debole di tutti. Questa convenzione ha delle ragioni molto semplici: prendi in esame un qualsiasi valzer e immagina l’ultimo tempo di ogni sua misura come il tempo più incisivo. O peggio ancora, prova a togliere l’incisività dal primo dei suoi tempi. Il valzer non è più un valzer, perde completamente il suo carattere. È sufficiente quindi dire che, convenzionalmente:

  1. Le misure binarie prevedono teoricamente il primo tempo come più forte e il secondo come più debole;
  2. Le misure ternarie prevedono teoricamente il primo tempo come il più forte, mentre il secondo tempo più debole del primo e il terzo tempo più debole degli altri due;
  3. Le misure quaternarie prevedono teoricamente il primo tempo come il più forte, il secondo tempo come più debole del primo, il terzo tempo come più forte del secondo e il quarto tempo come il più debole di tutti.

I tempi non cambiano, nel numero o nella quantità, a seconda dei segni ritmici che vengono disposti all’interno della misura. Osserva questo esempio:

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Il numero di tempi che compongono la misura non è cambiato. Sono pur sempre sottintesi quattro tempi dal valore di 1/4 ciascuno all’interno della battuta. Dato che il primo tempo è considerato il più forte, le prime due figure ritmiche da 1/8 che vi rientrano saranno più incisive delle altre. La figura da 1/4 sarà più debole delle due da 1/8, mentre la figura da 1/2, trovandosi a cavallo tra il terzo e il quarto tempo, manterrà il carattere del terzo tempo nel momento in cui viene suonata, fino a diventare più debole avvicinandosi al quarto tempo. 

Gli Accenti Metrici

In uno spartito, la “forza” dei tempi è determinata dalla loro intensità dinamica, ossia dall’intensità con la quale vengono resi in termini di volume. È questo che s’intende con accento metrico, nettamente distinto dall’accento di articolazione, di cui si tratterà nei prossimi articoli. Nel pianoforte, l’espressività è limitata dal fatto che, una volta abbassato un tasto, questo non può più modificare l’intensità di volume prodotto dalla corda, volume che inesorabilmente va affievolendosi. Ciò non avviene per il violino, poiché si può far crescere e diminuire una nota mentre la si sta suonando, esattamente come accade nella voce umana e in molti altri strumenti. Nel caso preso in esempio non vi è alcun problema di resa pianistica dal momento che il suono, affievolendosi naturalmente nel nostro strumento in seguito alla percussione della corda, può restituire senza problemi l’effetto richiesto. 

Le Suddivisioni

I tempi di cui una misura è costituita sono suddivisibili in ulteriori segni ritmici. Per esempio: in 3/4, se il valore di ogni tempo è rispettivamente 1/4, è possibile suddividere ulteriormente quella unità di tempo dando luogo a una suddivisione. Ricapitolando quindi:

  1. Dividendo una misura in tempi, se ne ottiene la scansione (binaria, ternaria o quaternaria).
  1. Suddividendo un tempo appartenente a una misura, se ne ottiene la suddivisione.

A seconda del risultato che si ottiene suddividendo un tempo, l’intera misura dalla quale era tratto prende il nome di semplice o composta. Se la suddivisione avviene in due segni ritmici, la misura si definisce semplice; se invece la suddivisione avviene in tre segni ritmici, questa viene definita composta.

I Punti Di Valore

Per quanto riguarda le misure composte, le indicazioni di misura sono scritte in modo che il numero di tempi in cui si articola la misura non si possa immediatamente ricavare dal numero più alto della indicazione stessa: si deve infatti dividere quel numero per tre. Il motivo è semplice: se non si fosse usata una convenzione diversa da quella delle misure semplici, non si sarebbe evidenziata la differenza tra i due tipi di misura e si sarebbero dovuti introdurre dei confusionari numeri decimali al denominatore. Ecco un esempio di misura composta:

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La misura è in 6/8. In questo caso il tempo vale 1/4 più un punto di valore. Il punto di valore, che è quel puntino che si trova a destra della figura ritmica, prolunga la durata del segno ritmico accanto alla quale viene posto della metà del valore del segno ritmico stesso. Il punto di valore è caratteristico dei tempi che costituiscono le misure composte, ma si può trovare anche all’interno di una misura semplice su un qualsiasi livello di suddivisione del tempo. Nel caso preso in esame la metà del valore di 1/4 è 1/8. La suddivisione del tempo sarà realizzabile solo usando tre segni ritmici, in particolare da 1/8 ciascuno. Infatti, per utilizzarne solo due occorrerebbe un immaginario segno ritmico del valore di 3/16, che nell’ambito della nostra musica non esiste. Dividendo per tre il numero sei che si trova in alto nell’indicazione di misura, si ottiene due. Da questo si ricava che la misura è composta di due tempi: si tratta quindi di una misura binaria. Anche il numero che sta più in basso non ha un significato immediato, questo si riferisce alla suddivisione che si può attuare del tempo. Ecco perché queste misure si dicono composte: a differenza delle misure semplici, hanno dei tempi che si possono suddividere in tre segni ritmici, fatto impossibile nelle misure semplici. Dovendo impiegare per la suddivisione solo i sette valori dei quattordici segni ritmici indicati più sopra, i tempi di queste ultime misure potranno essere suddivisi ciascuno solo in due. Ecco un esempio:

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Tesi E Arsi

Abbiamo detto finora che su uno spartito i tempi di una misura prevedono una precisa organizzazione dei loro accenti metrici, che sono a volte più forti, a volte più deboli. Anche i tempi, tuttavia, hanno una gerarchia metrica interna: ogni tempo ha infatti una tesi e un’arsi, ossia un battere e un levare, sul primo e sul secondo segno ritmico della loro rispettiva suddivisione. Potremmo riassumere e integrare quanto detto finora nel seguente schema, completo di alcune essenziali aggiunte:

  1. Gli accenti metrici più forti sono chiamati battere (o tesi), gli accenti metrici più deboli sono chiamati levare (o arsi). Quello che generalmente viene definito il battere o il levare di una misura corrisponde rispettivamente al tempo metricamente più forte o più debole di quella misura, ma è possibile trovare battere e levare, ossia tipi diversi di accento metrico, anche all’interno delle suddivisioni dei tempi.
  1. Il ritmo di una composizione o di un frammento di essa può essere definito tetico, anacrusico o acefalo. Tetico, da tesi, se inizia sul primo tempo della misura, che in tutte le misure è metricamente il più forte. Anacrusico, quando al contrario inizia su di un levare. Il ritmo acefalo è simile a quello tetico perché inizia allo stesso modo su un battere, ma con una pausa ritmica.
  1. Il ritmo di una composizione o di un frammento di essa può poi terminare su una tesi (tronco), o su un’arsi (piano).

Quanto detto finora ha il solo scopo di introdurre le considerazioni a seguire; benché inizialmente possa risultare difficile, la comprensione delle nozioni presentate viene ampliata e resa naturale dalla pratica costante del Solfeggio, col quale si può anche sviluppare l’orecchio e imprimere nella propria mente i suoni. 

Conclusioni

Ecco dunque alcuni importanti suggerimenti per intraprendere lo studio ritmico di uno spartito al pianoforte. Prima di tutto, osservando lo schema dei valori dei segni ritmici mostrato in questo paragrafo, capiamo che essendo le misure prevalentemente binarie, ternarie o quaternarie, il tempo avrà nella maggior parte dei casi un valore tra queste intermedio. In altre parole, il segno ritmico che rappresenta il tempo sarà nella maggior parte dei casi legati ai primi studi 1/2, 1/4 o 1/8, segno al quale si aggiungerà il punto di valore nel caso delle misure composte, per determinare a livello ritmico la corretta quantità del tempo. Impiegando queste figure ritmiche associate al tempo, è possibile contare regolarmente fino a tre per determinare la quantità di una misura ternaria semplice, ma anche contare fino a sei e stabilire le suddivisioni dei tre tempi di tale misura:

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Applicando infatti l’esempio a una misura da tre quarti, conteremo “u-no, du-e, tre-e” suddividendo in due ogni tempo, con la stessa regolarità con la quale contavamo fino a tre senza suddivisione; questo procedimento dà luogo a sei segni ritmici dal valore di 1/8 ciascuno. Se ne può avere riscontro pratico anche nell’esempio qui in alto: questi segni ritmici sono a loro volta suddivisibili in dodici segni ritmici dal valore di 1/16 ciascuno, a loro volta suddivisibili in ventiquattro segni ritmici da 1/32 ciascuno, a loro volta suddivisibili in quarantotto segni ritmici da 1/64 ciascuno. Oltre questo punto quasi sempre non si va, poiché la convenzione vuole che il valore più piccolo comunemente impiegato per un segno ritmico sia quello da 1/64. 

Ciò che può sembrare un freddo calcolo matematico, in realtà fa capire una questione di fondamentale importanza: ogni tempo delle misure nelle quali è scritta la nostra musica generalmente non sarà suddiviso all’interno di un brano più di tre o quattro volte. Se quindi studierai il ritmo partendo da questa assunzione, il lavoro sarà infinitamente più chiaro. Ecco perché: immagina di prendere una misura e di dividerla in tre tempi, stavolta senza pronunciare i tre numeri con cui la scandisci. Muovendo la mano lentamente, ma con regolarità, in tre punti diversi dello spazio e poi pronunciando un “ta” in corrispondenza di ognuno di questi movimenti, pronuncerai tre “ta”. Pronunciando invece alla stessa frequenza due “ta” per ciascuno di questi movimenti, che devono avvenire con lentezza e regolarità, pronuncerai sei “ta”. In questo modo avrai attuato la suddivisione dei tempi. Adesso si dica quattro volte “ta” per ogni movimento della mano, e infine dillo otto volte per ogni movimento della mano, il tutto senza mai mutare la velocità e regolarità della scansione dei tre movimenti nello spazio. Questo procedimento è applicabile a tutte le misure e rappresenta la solida base ritmica da cui partire per intraprendere i nostri studi: dovrai sempre confrontare queste variazioni sulla misura, di volta in volta proposte nelle composizioni, con l’unità di tempo e con il numero di suddivisioni che in quest’ultima riconosci essere stato operato. Quanto abbiamo appena detto sarà ancora più chiaro con un esempio: volendo studiare ritmicamente una misura in tre quarti, dovrai sempre avere in mente il numero di figure ritmiche associate ai tempi e il loro valore. In questo caso quindi, considererai tre figure ritmiche dal valore di 1/4 ciascuna, cercando di volta in volta di capire come il tempo sia stato modificato, a quale livello di suddivisione ci troviamo, eccetera, ma sempre rapportando ciò che si legge al numero e al valore dei tempi che compongono la misura. Esemplificando:

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Dovrai subito avere in mente tre tempi dal valore di 1/4, ciascuno, che in questo modo sono a un secondo livello di suddivisione, poiché troveremo quattro figure ritmiche per ogni tempo, e non soltanto due, come avviene a un primo livello di suddivisione. In questo l’editoria musicale aiuta, poiché la maggior parte dei brani editi per la stampa presenta le figure ritmiche sempre raggruppate per unità di tempo. Le figure scritte qui sopra, infatti, potrebbero essere scritte anche in questo modo:

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Queste figure generalmente vengono raggruppate dall’editoria per facilitarne la lettura e l’interpretazione dello spartito a partire dalle unità di tempo della misura, che dovrai sempre tenere a mente nel loro numero e nel loro valore. Raggruppando le figure ritmiche vai di conseguenza a ordinare in punti precisi della misura anche eventuali pause ritmiche. L’argomento potrebbe essere approfondito ulteriormente, ma per oggi ci fermiamo qui: se dovessi sentire il bisogno di andare oltre, o di preparare il piano di studi per un esame di Solfeggio, puoi consultare l’apposita sezione per lezioni individuali su misura a questo link. Se invece ti senti già pronto per sperimentare tutto quello che hai letto in questo articolo, qui di seguito ti lascio i manuali di Solfeggio più usati. Se li acquisterai tramite i banner più sotto, contribuirai a sostenere questo blog. Ti lascio a loro, noi ci vediamo nel prossimo articolo!

Matteo Malafronte